And the stars look very different today

Storicamente, è la prima volta che volo senza terrore. E’ un momento solenne. Ma parliamo di Berlino.
Non ci dilungheremo sul fatto che è una città contraddittoria. E’ una banalità. Sono state scritte pagine e pagine sugli, cito, stridenti contrasti della capitale tedesca e sulle fredde architetture moderne che valorizzano il lato antico della città. Altra scoperta dell’acqua calda è dire che è una città in fermento, che ritrova la propria identità dopo trent’anni di divisione.
Basta. Che noia.
Per me, Berlino è azzurra.
I palazzi lucidi riflettono il cielo (straordinariamente cangiante), l’aria è gelida e si insinua tra il collo e la sciarpa, le persone sorridono e hanno ragione, i locali hanno le luci soffuse e fanno venir voglia di passarci le giornate. E su ogni sedia c’è una bella coperta di lana.
I prati, in questa stagione, sono completamente coperti di foglie secche ed è un peccato non attraversarli correndo. E ridendo.
Alcuni quartieri sono talmente silenziosi che se ci fosse la neve, riusciresti a sentirla cadere.
Ovunque, c’è odore di buono: curry, cannella, cioccolata, odore di metropolitana che in ogni città è diverso.
Poi vai a vedere quello che resta del muro e non trovi le parole perché ti senti parte della storia e ti fa quasi strano appoggiarci la mano, sapendo che appena due decenni prima questa e quella parte erano paesi stranieri.
Berlino è come percorrere un’autostrada di notte, da soli ma con la certezza di trovare a casa qualcuno.
E’ come una passeggiata all’alba, respirando la luce di ghiaccio e passandosi la mano sugli occhi per asciugare la pioggia che si è intrappolata tra le ciglia.
“All — All free men, wherever they may live, are citizens of Berlin.
And, therefore, as a free man, I take pride in the words “Ich bin ein Berliner.”
JFK, 1963

Quina hora és?

Devo rendervi partecipi di una cosa che mi ha sconvolto.

Da un mesetto sto frequentando un corso di Catalano sponsorizzato dall’Ajuntament di Barcellona, che se non ho capito male è semplicemente il comune. (prendere esempio…)

Già durante le prime lezioni, ho scoperto elementi di fondamentale importanza, tipo che se sei uomo e ispanico ti chiamerai o Carlos o Raoul, e che “bacio” si dice “peto”.

Fino a qui, tutto normale.
La settimana scorsa, la svolta.
Abbiamo parlato di ore. Voi direte “Embè? Ovvio! Qualsiasi corso di lingua a livello basico ti deve insegnare a dire e chiedere l’ora”.
Lo state dicendo? Ditelo. Bene.
Anch’io, quando ero una giovine ingenua e a digiuno di Català, lo pensavo.

Sbagliavo.

Qui le ore si dicono così:
Se sono le 10.15, direte “è un quarto delle 11
Se sono le 10.30, direte “sono i due quarti delle 11
E così via.
Se però sono le 10.40, direte “sono i tre quarti meno cinque delle 11
Se sono le 10.20, direte “è un quarto più cinque delle 11

Aggiungeteci il Catalano, e vi troverete a vagare circospetti per le strade, terrorizzati anche solo dall’idea che qualcuno vi chieda l’ora.

A me è sembrato assurdo e anche ai miei compagni di classe che mi guardano come se avessi due teste. Perchè?
Non parlo tanto bene lo Spagnolo (e le lezioni in che lingua sono…?) ma lo capisco, e mi rivolgo a loro in un misto di gesti e varie lingue (compreso il latino!). Inoltre, tra loro c’è una simpatica professoressa di Francese che gentilmente traduce se non capisco. E io traduco in Inglese a una ragazza giapponese.

Forse ho capito perchè mi guardano male.

Quello che non sanno è che io parlo fluentemente sia il Catalano che il Castigliano.

Ma li parlo assieme.

 

La donzelletta vien… dal mare

Siete stanchi del logorìo della vita moderna e, casualmente, vi trovate a Barcellona in questo periodo?

Svegliatevi prestino, prendete l’autobus (o la métro) diretto al villaggio olimpico. Scendete, dirigetevi verso la spiaggia, togliete le scarpe, arrotolate i pantaloni sui polpacci, svuotate la mente e sedetevi ad ammirare lo spettacolo.

Il sole non ancora alto fa sembrare il mare dorato e proietta delle ombre lunghissime tra le dune di sabbia. La folla non è ancora arrivata, quindi sentirete solo il silenzio, lo sciabordio delle onde, i gabbiani…e il bipbip dei metal detector dei cercatori di monetine.

Proseguite la vostra passeggiata con il vento tra i capelli e i piedi affondati nella sabbia bagnata. Non distraetevi perchè le onde spesso e volentieri arrivano a lambire le chiappe. Giratevi a guardare le vostre impronte che vengono cancellate dal mare e spingetevi fino alla fine del molo, dove l’aria è più impetuosa e l’acqua più profonda.

Resistete (o anche no) alla tentazione di buttare in acqua i pochi pescatori e sedetevi in un punto possibilmente al riparo dalle onde anomale che vi trascinerebbero in mare in pochissimo tempo. Guardate l’orizzonte e rilassatevi. Seguite il flusso della vostra mente, sentitevi dei vecchi lupi di mare naufragati su un’isola deserta, ma toglietevi dalla testa la bottiglia di rhum.

E’ così che partorirete idee del tipo:

1)perchè se zio Paperone è il fratello di Nonna Papera, la chiama nonna? E perchè Paperino e Paperina sono nipoti dello stesso zio pur essendo fidanzati? E Ciccio? Cosa mi rappresenta?

2)quanto brutta è “Il sabato del villaggio” di Leopardi?

3)cosa è passato per la testa degli stilisti di Tezenis quando hanno pensato di proporre pigiami composti da pantaloni lunghi e…reggiseno? Alle correnti d’aria non ci pensano?

Carrer dels Escudellers Blancs

C’è l’ometto del gas, che urla “Butanooooo!!!” e cammina, trascinando il suo carretto pieno di bombole.

C’è un orologio a cucù che canta ogni ora.

C’è un altro ometto, che chiama “Carlos!” dalla strada. Invano. Carlos non risponde mai. E lui continua.

C’è un gatto che miagola scongiurando qualcuno.

C’è l’appartamento di fronte, lussuoso e vuoto, con la sua domestica silenziosa.

C’è un bambino che corre su una motoretta.

C’è il vicino che riempie l’aria con la Callas e Nancy Sinatra.

Ci sono dei signori fermi agli angoli che mormorano qualcosa e poi litigano tra loro, in una lingua sconosciuta.

C’è un barbone, che parla con due voci e non dice cose carine.

C’è il tipo del deli che lavora alla cieca perchè guarda sempre youtube e se la ride.

C’è la menta sul mio balcone che langue.

C’è il nostro amico Jürgen che anima le serate.

C’è la strada che viene lavata e sa di pesce.

Ci sono gli uccellini, che non sono uccellini ma gabbiani.

Ci sono i turisti. Anzi non ci sono perchè per questa via non si avventurano.

Mai paura. Solo un po’ di mal di testa.

Come tutti i giuovini alla moda, anche noi il sabato sera andiamo a bere le birrette nei locali. E ieri il tempio del nostro beveraggio è stato “Nevermind“, un locale dalla dubbia conformità alle norme CE, frequentato da una clientela più che internazionale.

E’ proprio di fronte a casa nostra e il fatto che i prezzi siano decisamente ragionevoli (cosa che potrebbe rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio) ci ha immediatamente conquistato. Per la gioia di Rodrigo, il barman che assomiglia a uno che c’è sempre in biblioteca a SddP.

Ma cominciamo dall’aspetto di “Nevermind”: è buio, il soffitto è quasi interamente ricoperto da scritte di gessetti (spicca “sticazzi”) e le mensole dietro al bancone sono degli skateboard rovesciati, colmi di bottiglie di ogni tipo. Per quanto riguarda il personale, abbiamo avuto la possibilità di cimentarci nei numerosi idiomi di nostra conoscenza, dato che sono tutti di nazionalità diversa. Dalla francese che cerca di essere rozza, ma quando shekera sembra che stia per perdere i sensi (com’è volgare!), allo spagnolo che ripete ossessivamente “Yes man!”, “Sorry man!”, all’italiana che ci pianta un chiodo di venti minuti.

Potrete chiedere la vostra musica preferita (su una selezione che spazia dai Nirvana ai Tool, con molte altre variazioni) e godervi i video proiettati sul muro.

Ok, i dettagli tecnici ve li abbiamo dati. Ora passiamo alle perle della serata.

Attenzione a Jürgen, il buon danese, che vi chiede insistentemente di tradurgli in italiano la parola “antigua”. Attenzione al suo amico inquietante con la maglia di Titti: se incrociate il suo sguardo siete obbligati a brindare con lui in danese (e non è un bello spettacolo). Attenzione di nuovo a Jürgen, perchè quando parla gesticola e vi colpisce con dei pugni volanti. Attenzione alla catalana pazza e ubriaca che vi schiaffa macchina fotografica -e non solo- in mano e posa per un interminabile book.

Cercate di accaparrarvi il maggior numero di ciotole di popcorn, perchè sono buoni e burrosi.

Se siete fortunati come noi, una volta tornati a casa potrete vedere dal terrazzo Jürgen, alone in the dark, che beve acqua e lo dice ai passanti (“Aguaaa, aguaaaa!”).

PS: “Nevermind” entra di diritto nella lista d’oro dei nostri locali feticcio (ovvero quei locali in cui si torna sempre, anche se ce ne sono mille altri da provare), assieme a “La Perle” di Parigi e “Max Fish” di NYC. Lo dice anche Jürgen.

Nevermind

Carrer dels Escudellers Blancs 10

08002 Barcelona

Non è un paese per vecchi

festa major de Gràcia

Ogni volta che ho in mente di scrivere di un locale o un ristorante, succede qualcosa che mi fa mettere tutto da parte. Col risultato che sto scrivendo post che poi conservo e non pubblicherò mai. Uff.

Il problema è che questi (leggi: i Barcellonesi? Barcelloniani? Barcelloneschi?) fanno festa un giorno sì e l’altro anche. E per l’estate e per il quartiere e per l’arrivo dell’autunno e per il patrono…non si riesce a stare tranquilli! E possiamo forse esimerci dal partecipare? E’ solo per amore di informazione, che nessuno pensi male!

L’evento del momento è la Festa Major de Gràcia, cioè una celebrazione del quartiere (di Gràcia appunto), che guarda caso è proprio dove abitiamo noi. Una piccola premessa: a differenza di quanto avviene da noi in Italia, qui sono molto fieri della zona in cui sono nati e cresciuti. E’ per questo che tante volte -letto sulla guida- quando a qualcuno si chiede da dove viene, spesso e volentieri, invece di dire la città, indica questo o quel quartiere! …Da dove vengo io? Da dietro il Duomo. No eh? Vabbè.

Torniamo a noi. A dimostrazione dell’attaccamento all’amato borgo natio, le strade vengono decorate a tema e partecipano a un concorso che incorona la più bella e originale (noi abbiamo già trovato la nostra reginetta di bellezza). Inoltre, per tutta la durata dei festeggiamenti (dal 15 al 21 agosto, quindi siamo ancora nel pieno) sono previsti concerti, esposizioni e danze quasi 24 ore su 24. Insomma, se dovessimo riassumere in tre parole quello che sta succedendo a pochi passi dalle nostre finestre, senza dubbio, e da un punto di vista professionale, diremmo che nella maniera più assoluta è UNA FIGATA PAZZESCA!

E’ incredibile. Basta un concertino swing perchè qualche coppia improvvisi un ballo sfrenato coinvolgendo immediatamente tutti i presenti. Basta un tavolaccio di legno per servire un banchetto luculliano a cui tutti possono partecipare. C’è posto per tutti: gli anziani vendono le magliette con il logo della festa e i matti del quartiere fanno amicizia (in particolare vorrei ringraziare il matto del Carrer Providencia che mi ha fatto un discorso di tre ore sul cantador. E io ho annuito con aria grave). Qui non ci sono gli scemi del villaggio. La gente cammina ridendo e cantando, e si affaccia alle finestre per parlare con quelli che stanno sotto. I panifici sono aperti all’una di notte e le strade brillano nel loro vestito a festa, tra l’orgoglio dei geniali creatori e lo stupore degli “ospiti”.

Non avevamo mai visto niente del genere, è assolutamente incredibile.

Lo spirito che anima questa meravigliosa festa trasuda entusiasmo, ospitalità e amore…la gente si vuole davvero bene!

No, non ci siamo drogati…siamo a Barcellona!

Somewhat traveller


PRIMA
Preparare la valigia era un problema grosso. Si cominciava almeno dieci giorni prima, dopo aver redatto una lista terrificante e aver coinvolto amici&parenti (“Vi leggo la lista e poi mi dite secondo voi che cosa mi sono dimenticata”). La preparazione vera e propria necessitava della presenza di almeno un genitore -o di chi ne fa le veci- che declamava a voce alta, commentando e spuntando le varie voci.
Indipendentemente dalla durata del viaggio, il peso della valigia superava immancabilmente il limite indicato dalla compagnia aerea. Questo comportava l’apertura della stessa sul pavimento dell’aeroporto e la dolorosa cernita.
Quando ancora si poteva viaggiare con liquidi a bordo, io giravo con il beauty case portatile a tracolla. Di quelli, per intenderci, rigidi a bauletto con lo specchio incorporato (credo non li producano più). Avrei tanto voluto dei valletti.
Una volta sono andata a Padova in giornata per un esame e mi sono portata il trolley.
Per sicurezza.

OGGI
Vado via per cinque mesi, parto domenica e comincio a preparare la valigia OGGI. Ho scelto e escluso capi di abbigliamento senza dilemmi di ore e senza crisi isteriche (“Se non posso portare queste scarpe, io non parto neanche”).
Ho riempito la valigia con tutto quello che voglio portare ed è piena per META’, l’unico elemento da toeletta è un intruglio inquietante che funge da bagnoschiuma e shampoo. Oltre allo spazzolino. Comprerò lì. E NON HO un beauty case.

Mi devo preoccupare?

PS: ma quelle belle valigie con tutti gli adesivi dei paesi esistono solo nei film?

Paris je t’aime

Paris
11 mesi.

Cos’è Parigi?

Il gruppo di ragazzini, sempre diversi, che vedo ogni mattina in marina a Place des Vosges.
Il posto dove lavoro, dove siamo un’italiana, una giapponese una portoghese e un francese, eppure riusciamo a litigare senza problemi.
La linea 5 del métro: Bobigny-Place d’Italie. Arancione.
Il negozio di scarpe all’angolo, dove ci manca poco che mi metta a leccare la vetrina.
L’aria che esce dalle grate della métro e mi alza la gonna (proprio come Marilyn, un filino più goffa).
Le occhiaie, il sonno, tante scale.
Rendersi conto che quando c’è un matrimonio, anche qui suonano i clacson come pazzi.
Il barbone che staziona sempre vicino alla stessa statua e mi saluta ogni mattina e ogni sera.
L’altro barbone, quello che urla contro il suo amico immaginario.
Il palo della métro. Se solo potesse parlare.
Quando pensi di incontrare un sacco di personaggi famosi, e poi scopri che sono semplicemente dei sosia.
DepAntor: de, e, pe, e, en, te, o , er. Ripetuto alla nausea. E Madiski’ !
L’uomo delle pulizie che mi chiama Julia Roberts.
Il nostro ex vicino di casa che rispondeva al telefono dicendo “Oui bonjour“.
Tutti i digicode che ci siamo dovuti imparare a memoria e che non dimentichero’ mai, non perchè ci sia affezionata ma perchè la mia memoria funziona in modo strano e ricorda per anni cose inutili.
Il vento che quando soffia forte, è proprio forte.
La pioggia che batte sui balconi del nostro nido.
Queste ragazze a loro agio sui tacchi.
Facciamo una passeggiata?” A piedi andata e ritorno dal Marais alla Tour Eiffel.
Starnutire e dirsi salute da soli.
I Velib’ e le infinite e faticose salite.
Aperitivi. Tanti aperitivi.
La perle” e il ristorante indiano.
Le rosticcerie cinesi che non ti ispirano fiducia, ma costano poco.
Trovare un angolo di New York City .
Il succo di pomodoro e la panaché.
Gli italiani all’estero. Perchè anche se li prendiamo sempre in giro, sono italiani come noi e tra italiani ci si aiuta un sacco.
L’Île Saint Louis. Il posto più poetico della città.
E l’aria che respiri quando per le strade non c’è nessuno.

Parigi è “Remember” degli AIR.
Parigi è “La mer”, quella di Charles Trenet.
Parigi è “La mer”, anche quella di Trent Reznor.
Parigi è questo blog.

I ponti sulla Senna “Ma quanto bella è?“.

E poi non abbiamo più parlato, perchè non c’era nient’altro da dire.

Merci Paris.
Et à bientôt.

Ecco i pazzi

Henri Cartier-Bresson
Henri Cartier-Bresson

Ecco i pazzi.
I disadattati.
I ribelli.
I contestatori.
Quelli sempre al posto sbagliato.
Quelli che vedono le cose in modo diverso.
Non amano le regole.
E non rispettano lo status quo.
Puoi lodarli, disapprovarli, citarli,
puoi non credere loro,
puoi gratificarli o denigrarli.
Ma cio’ che non potrai fare e’ ignorarli.
Perche’ loro sono quelli che cambiano le cose.
Inventano.
Immaginano.
Curano.
Esplorano.
Creano.
Ispirano.
Mandano avanti l’umanita’.
Forse devono per forza essere pazzi.
Altrimenti come potresti guardare una tela vuota e vederci un’opera d’arte?
O sedere in silenzio e sentire una musica che non e’ mai stata composta?
O guardare un pianeta rosso e immaginare un laboratorio su ruote?
Noi realizziamo strumenti per questo tipo di persone.
E se alcuni vedono la pazzia, noi vediamo il genio.
Perche’ le persone cosi’ pazze
da pensare di poter cambiare il mondo
sono quelle che lo cambiano.

(manifesto “Here’s The Crazy Ones” concepito nel 1997 dall’agenzia pubblicitaria Tbwa come testo di una memorabile campagna per Apple Computers).