I miei libri del 2015

Non provo un amore spropositato per i calendari dell’avvento: credo di averne posseduto uno nella vita – trovato nel mitico “Corriere dei Piccoli” – e, da brava impaziente, di aver aperto tutte le caselline il primo giorno. Fine del gioco.
Non sono neanche una fan sfegatata del Natale. Odio lo shopping in generale e ancora di più in questo periodo. A chi mi chiede se faccio regali, rispondo con una delle Maledizioni senza perdono di Harry Potter.
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Il cimitero di San Michele in Isola nella laguna di Venezia

Esistono luoghi che sembrano ritagliati da una dimensione magica e immobile: che io ne sia terribilmente affascinata ve l’ho detto e ridetto. Appena posso, sollevo il lembo del pesante sipario che li nasconde e, quasi di soppiatto, parto alla scoperta: il Cimitero di San Michele (che ho visitato nel 2013) è ospitato nell’omonima isoletta a un centinaio di metri al largo nella laguna veneta. Un esemplare assolutamente unico nel suo genere. Read more

I morti senza nome di Grunewald

Dove sono Minna, Nico, Mirka, Tim e Julius, dove sono i soldati senza nome e tutti quegli sconosciuti morti lo stesso giorno del 1945 ?
Che cosa pensavano mentre le bombe distruggevano Berlino rendendoli sfigurati e senza nome oppure mentre si gettavano nelle acque della Sprea oppure ancora ingoiavano la pillola fatale?
Mentre il dottore sbagliava diagnosi oppure quando cercavano di scappare da una stanza divenuta inferno?

cimitero grunewald_unbekannt

L’incipit di questo articolo, non sto neanche a precisarvelo, vuole imitare l’inizio di uno dei miei libri preferiti. L’“Antologia di Spoon River”, ossia quell’opera geniale che immagina di far parlare gli abitanti morti di un villaggio, raccontando dolori, pettegolezzi e rimpianti di quando erano in vita.

cimitero_grunewald_nico

Il fatto che mi piacciano i cimiteri e che io ami “ascoltare” quello che lapidi e tombe hanno da dirmi, ormai non è più un mistero: i campisanti continuano a essere i miei luoghi di esplorazione preferiti. Ve ne ho parlato tante volte e, finché ci saranno cimiteri da visitare, credo che non smetterò.

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Per arrivare a questo particolare cimitero, bisogna camminare nella foresta di Grunewald per circa un’ora e stare attenti al lugubre cartello di legno che vi indicherà la strada del camposanto nato in origine per dare sepoltura ai suicidi annegati nelle acque della Sprea e adagiati dalla corrente all’interno di una piccola lingua di terra.
Per le informazioni storiche ufficiali sul cimitero, vi rimando a questo interessante post. (poi, alla fine dell’articolo, vi riporterò una lista delle fonti che ho consultato)
Troverete in giro per la rete numerosi articoli sulla sua ospite più famosa (Nico -Christa Päffgen- cantante dei Velvet Underground) e su altre personalità tedesche più o meno note.

Se decidete di rimanere con me, invece, vi racconterò una storia che nessuno ha ancora scritto (o, per meglio dire, una storia che è stata dimenticata)E che io ho quasi paura a riportare.

 


Andiamo con ordine.
Prima di intraprendere la visita di questo luogo, è bene sapere che c’è da avere vera paura.
Io sono una fifona, si sa, ma vi assicuro che anche il paziente Alessio si è guardato alle spalle più di una volta.
[Sono pronta a giurare che i fantasmi non esistono e che sono tutte fantasie e suggestioni, poi però guardo un film del terrore e non ho coraggio di andare a lavarmi i denti da sola per una settimana, ecco].

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La giornata era splendida e soleggiata -la prima di questa primavera berlinese- ma, una volta varcata la soglia… tutto si è mostrato sotto una luce sinistra e quasi sogghignante.
Il cimitero, prima di tutto, sembra un labirinto e fa ben presto perdere l’orientamento: malgrado le sue dimensioni esigue, non sono riuscita ad immaginarne la struttura poiché le varie sezioni sono divise da siepi alte e incolte e gli stretti sentieri sono -in alcuni punti- totalmente ricoperti di edera (tanto da farvi camminare, ignari, sopra le sepolture). Vi capiterà di essere convinti di aver preso una direzione diversa e di trovarvi continuamente di fronte alla stessa tomba.
Caso? Suggestione? Distrazione?

La lapide di Minna Braun non mi ha lasciato in pace per tutta la durata della visita: spuntava a ogni curva.
[Minna B., infermiera suicida due volte per amore: nel 1919 ingoia qualche pillola, la dichiarano erroneamente morta e per un pelo non la seppelliscono viva. Inventano per le morti apparenti come la sua una bara di sicurezza che permette di sbirciare il corpo fino all’ultimo momento prima dell’inumazione. E lei che fa? Aspetta un po’, ci riprova e -questa volta- ci riesce]

In secondo luogo, io non so se fossero uccelli o topi, sta di fatto che il silenzio della foresta -ingentilito dai canti dei volatili e dal vento- è stato più volte interrotto da colpi secchi dei quali non siamo riusciti a individuare l’origine.

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Abbiamo girato per il cimitero per quasi un’ora, abbiamo trovato la tomba di Nico, le sepolture senza nome dei suicidi, le croci ortodosse dei russi imprigionati durante la guerra. Sì, insomma, ce ne stavamo quasi per andare, anche perché per me la tensione era diventata quasi insostenibile. Ormai camminavo convinta che una mano sarebbe spuntata dal terreno e mi avrebbe afferrato una caviglia. C’era il sole ma faceva freddo, l’atmosfera era lugubre e spettrale e i colpi si erano fatti più frequenti.

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“Andiamo?”
“Facciamo l’ultimo giro dai. Voglio vedere come mai lì c’è una panchina.”

Giusto. Come mai?
C’è una picccola radura, larga al massimo due metri: una panchina blu al centro e il terreno ricoperto di edera fitta.
Non si vede niente, non c’è niente… perché mai mettere una panchina proprio qui?
Guardando un po’ meglio, mi accorgo che ci sono quattro piccole tombe.
Il classico cimitero dei bambini… pensavo fosse un’usanza italiana (da brividi, lasciatemelo dire), invece si fa anche qui.
Sposto le foglie dalle lapidi e per poco non mi viene un colpo.
Prima di andare avanti, guardate con me le foto e ditemi se anche voi notate qualcosa di strano.

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23 dezember 1975.
Sono nati nel 1972 e sono morti tutti il 23 dicembre 1975. Non può essere un caso, vero?
Ce ne andiamo dal cimitero e io… non penso ad altro.
Cerco informazioni in rete: c’è qualcosina, ma nulla di veramente rivelatore. Non mi resta che aspettare -divorata dalla curiosità- e finalmente, dopo una settimana, ottengo un appuntamento in biblioteca per visionare i microfilm dei giornali dell’epoca.
[commento: individuare l’articolo IN TEDESCO che ti interessa su un microfilm che scorre e che viene proiettato IN NEGATIVO -scritte bianche su fondo blu- tornare a casa e tradurlo come se si trattasse di una versione di greco, è un affare per persone molto molto molto motivate]

Riporto qui di seguito le informazioni essenziali che sono riuscita a raccogliere. Non conosco bene il tedesco, potrebbe essermi sfuggito qualcosa e potrei avere male interpretato alcuni particolari. Lo dico subito perché:
1) Non ho trovato nulla riguardante il risultato delle indagini. Non so se qualcuno sia andato in galera e non so se siano state individuate responsabilità (e mi sembra incredibile -in caso di risposta negativa- che questo sia potuto succedere);
2) Se qualcuno avesse voglia di darmi una mano a tradurre gli articoli con più precisione, sarei felice di inviare tutto il materiale e aspettare trepidante il responso.

Berliner Morgenpost 24/12/1975
©Berliner Morgenpost 24/12/1975
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©Berliner Morgenpost 24/12/1975

Berlino Ovest, 1975, vigilia (sì, perché in Germania il Natale si festeggia il 24. Non siete sconvolti?)

In un asilo privato di Charlottenburg, si sta svolgendo una piccola festa: una mamma ha portato una scatola di candele per dare più magia all’atmosfera del Natale, i bambini osservano rapiti le fiamme, cantano, si divertono, scartano i regali. Non ci sono molti alunni in quella scuola e le maestre sono solo due. Hanno 25 e 22 anni.
L’asilo è un appartamento di due stanze al piano terra e, terminata la festicciola, verso le 11.30, le maestre si ritirano in cucina per bere il caffè.
Improvvisamente, sentono un urlo e corrono a controllare che cosa sta succedendo nella stanza sul retro ma il corridoio è invaso dal fumo e loro non possono fare altro che scappare in strada urlando.
All’interno di quella stanza ci sono cinque bambini: Julius, Wanja, Jan, Mirka e Tim.

A questo punto, succedono molte cose strane.
E, come si può dedurre dal titolo del seguente articolo, non è solo una mia impressione.
“Catastrofe in un asilo. Soccorritori impotenti, finestre sbarrate, allarme tardivo. A prendere fuoco sono stati i materassi”

Strano.
Le maestre corrono per strada chiedendo aiuto ma, probabilmente in preda al panico, non chiamano i vigili del fuoco per un altro quarto d’ora che risulterà fatale ai piccoli imprigionati nella stanza. Le prime persone a tentare di penetrare nell’asilo in fiamme, sono due operai che lavorano in un cantiere poco lontano, i quali -naturalmente- non sono per nulla attrezzati a fronteggiare situazioni di questo tipo, cercano inutilmente di passare (c’è un muro di fumo e la struttura dell’asilo non aiuta per niente) e infine provano ad entrare nella stanza passando per il cortile trovando le finestre sbarrate.
Quando i vigili del fuoco arrivano è troppo tardi e non possono fare altro che trasportare i bambini all’ospedale.

©Berliner Morgenpost 24/12/1975
©Berliner Morgenpost 24/12/1975

Strano.
Le prime indagini della polizia rivelano che le candele presenti all’interno dell’asilo sono dodici: ne vengono trovate quattro nella stanza di fronte (Ledenraüm), tre ancora inutilizzate nella scatola e due in cucina.
I bambini, quindi, avrebbero preso le candele rimaste e le avrebbero portate nella stanza sul retro (Türnraüm).
Le candele erano già accese? Non si sa.
Quello che si sa è che nella stanza sul retro, sono state trovate due scatole di fiammiferi in una posizione che tuttavia è stata dichiarata come non raggiungibile dai bambini.
nota mia: se le candele fossero state già accese, questo significherebbe che i bambini sarebbero stati lasciati senza sorveglianza a -è il caso di dirlo- giocare col fuoco. In caso contrario, invece, vorrebbe dire che i fiammiferi non erano poi così irraggiungibili.

 

Strano.
Le maestre sono in cucina quando scoppia l’incendio. Tra la cucina e la stanza sul retro c’è un estintore funzionante che, tuttavia, non viene utilizzato. Neanche un tentativo.

Strano.
I genitori dei cinque bambini (che, purtroppo, muoiono uno dopo l’altro malgrado le cure mediche), chiedono tramite un portavoce che la disgrazia non venga strumentalizzata a fini politici. (?!? Qui potrebbe entrare in gioco qualche particolare relativo alla delicata situazione politica dell’epoca… ahimè, io non sono riuscita a coglierlo e questa affermazione mi ha lasciato a dir poco basita)

Strano.
Ilse Reichel, allora Senatrice per la Gioventù e lo Sport, accorsa sul luogo della disgrazia, si affretta a sottolineare che, essendo l’asilo una struttura privata, non si tratta di qualcosa che rientra nella responsabilità dello Stato. (?!?)

Poi più nulla.
Della notizia -per quel che sono riuscita a capire- non si fa più menzione.
Voglio credere di aver capito male.
I trafiletti che appaiono nei giorni successivi -mi pare- spingono alla riflessione e purtroppo sono per me troppo ostici. Rinnovo quindi la richiesta: se qualcuno, lì fuori, conosce il tedesco un po’ meglio di me e ha voglia di aiutarmi a comprendere alcuni punti decisamente oscuri, si faccia avanti!
In cambio, posso solo offrire un invito a esplorare assieme il prossimo cimitero.

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Fonti consultate:
Berlin&Out
Historical tales about the capital of the 20th century
Berliner Morgenpost
Tages spiegel

Scontro di pugni con esplosione finale

L’altro giorno, si parlava di strette di mano.

Una volta, mica c’erano problemi: si faceva un po’ di scuoti-scuoti con un sorriso e via.
La cosa peggiore che ti poteva capitare era la mano fredda/sudata/moscia che ti dava l’impressione di prendere in mano un calzino bagnato dimenticato -per qualche motivo- in frigorifero.
Del resto, chi non mette calzini bagnati a riposare nel frigorifero?
All’estremo opposto, c’era la stretta d’acciaio che, se per caso indossavi un anello, era per sempre fatale alla funzionalità dell’arto.
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