Middlesex (J. Eugenides)

“Middlesex” è un libro meraviglioso, uno di quelli che ti invalidano i rapporti sociali finché non hai finito di leggerli.

La protagonista è Calliope Stephanides, che nasce a Detroit come una bambina e scopre durante l’adolescenza di essere un ermafrodito, frutto dell’ “incidente genetico” che ha coinvolto i suoi nonni, fratelli di sangue che approfittano della lunga traversata verso l’America per sposarsi sulla nave dove nessuno li conosce.

La storia inizia proprio nel momento dell’incendio di Smirne del 1922. Calliope, rifugiatasi da adulta (anzi da adulto) a Berlino, ripercorre la storia della sua famiglia, analizzando tutti gli incroci e gli intrecci di sangue che hanno infine portato a lei, adolescente femmina senza mestruazioni che nasconde l’amore per la sua compagna di classe dietro ad una massa di capelli neri davanti al viso.

Non voglio raccontare di più perché finirei per sprecare la bellezza struggente di questo libro, che ho amato in tutti i suoi aspetti.

Voto: 
Fin da subito ho capito che avrei amato incondizionatamente “Middlesex” perché conteneva tutti gli ingredienti giusti: racconta una vita, ma ne spiega le origini a partire dagli antenati, è ambientato negli Stati Uniti ed è scritto da un autore che ho già adorato (per “Le vergini suicide”, no non il film).

Il personaggio preferito:
Lefty, il nonno “fratello”, bello e impomatato. 

La frase sottolineata: 
Quale che sia la ragione, nell’anonimato del cinematografo Tessie Zizmo si concede di ricordare cose volutamente dimenticate; un clarinetto che le si infila sulla gamba nuda con una forza di invasione propria, tracciando una freccia che corre lungo il suo impero insulare, un impero che, se ne rende conto in quel momento, sta consegnando all’uomo sbagliato. […] Fissando l’immagine di Milton sullo schermo gli occhi le si riempiono di lacrime e ad alta voce dice: “Ovunque andassi, ogni posto mi parlava di te”.