Central Park (A. Blauner)

Con il passare degli anni, assomiglio sempre di più a un cane. Mi fido delle prime impressioni che ho sulle persone, evito chi mi manda vibrazioni cattive (i cani ringhiano se capiscono che qualcuno ha paura di loro, no?), sono molto attratta dalla possibilità di abbaiare e vorrei davvero provare l’ebbrezza di scodinzolare, almeno per una volta.
Quando, poi, vedo acqua, neve o foglie secche…basta. Non capisco più niente.
Devo interagire, correre, saltellare. Esattamente come un cane.

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Sono andata a New York per la prima -e per il momento unica- volta alla fine dell’autunno del 2011.

Sì: autunno.

Autunno.

Milioni di foglie secche, ovunque.

Central Park.

E a Central Park ho corso, ballato tra le foglie rosse che cadevano come coriandoli, girato su me stessa…proprio come un cane.
E sì, metaforicamente ho scodinzolato parecchio.
(mentre Alessio faceva finta di non conoscermi)

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Anche questo libro mi ha fatto scodinzolare.

Una raccolta di racconti su Central Park di alcuni tra i miei scrittori contemporanei preferiti (curata da Andrew Blauner).
Segreti, luoghi nascosti, notti trascorse sotto un cespuglio, vari incontri con Jacqueline Kennedy intorno al lago che, dopo la sua morte, ne prese il nome. Il mistero delle paperelle che d’inverno non si sa dove vadano a finire, come si chiedeva il protagonista di uno dei libri del mio sacro scaffale d’oro (“Il giovane Holden”).
Racconti ambientati prima della guerra, concerti memorabili, tremendi delitti, le tartarughe che si lasciano prendere (sono in realtà tartarughe domestiche abbandonate e cresciute troppo), la storia commovente di un ragazzo (Ben Dolnick) che fa amicizia con una capra dello zoo.
E poi, la consacrazione: la storia meravigliosa di Jonathan Safran Foer, di cui vi riporto la mia parte preferita.

The boy asked the girl to say “I love you” into her can, giving her no futher explanation [si riferisce ai barattoli con il filo che i bambini usano per comunicare a distanza].
And she didn’t ask for any, or say, “That’s silly” or “We’re too young for love” or even suggest that she was saying “I love you” because he asked her to. Her words traveled the yo-yo, the doll, the diary, the necklace, the quilt, the clothesline, the birthday present, the harp, the tea bag, the table lamp, the tennis racket, the hem of the skirt he one day should have pulled from her body [tutto quello che avevano usato come “cavo” per i barattoli].
The boy covered his can with a lid, removed it from the string, and put her love for him on a shelf in his closet. Of course, he could never open the can, because then he would lose his contents.
It was enough just to know that it was there.

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