I delitti di Alleghe | La montagna assassina (T. Sirena)

Il cerchio, finalmente, si è chiuso.
Ricordate tutta la storia? Il mio interesse per i casi misteriosi di Alleghe, il libro introvabile di Sergio Saviane e il regalo da parte di un lettore misterioso (che bella sorpresa quella volta!)?
Ricordate anche che, dopo la lettura de “I misteri di Alleghe”, avevo concluso la mia recensione con:

PS: ho sentito che il giornalista Toni Sirena ha scritto altri due libri sulla storia dei delitti di Alleghe. Qualcuno mi aiuta a trovarli? 

Ve lo ricordate? Bene. Sappiate che qualcuno (nello specifico Maurizio che è mio zio. Sì, io chiamo i miei zii solo per nome, senza anteporre “zio” o “zia”. Non so perché, è sempre stato così).
Fatto sta che Maurizio si è sbattuto tantissimo per trovare quei libri, ha telefonato alla casa editrice e addirittura a Toni Sirena e alla fine è riuscito a spedirmeli entrambi a Berlino. Prima di tutto, quindi, grazie Maurizio.
Da questa storia ho imparato anche che esprimere desideri su queste pagine, funziona. 🙂

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Insomma, pare che al momento io abbia letto tutta la bibliografia sull’argomento.
E devo ammettere che sono perplessa.

Se avevate letto la mia precedente recensione, certamente avevate anche colto il mio interesse smodato per la vicenda di Alleghe: delitti mascherati da suicidi, assassini sparsi per il paese, morti concatenate a distanza di anni l’una dall’altra. Mi sembrava quasi un giallo di Agatha Christie, con quel sapore di sospetto diffuso nel piccolo paese di montagna, isolato e inquietante attorno al suo lago dove, tra l’altro, pare che ci sia un paese sommerso da una frana che nel ‘700 spazzò via tutto.
Mi immaginavo i valligiani che si affrettavano a rientrare a casa prima che il sole calasse per non correre il rischio di imbattersi nell’ira (e negli oggetti contundenti) del clan degli albergatori.

Insomma, Toni Sirena (tra l’altro figlio di Tina Merlin, l’ho scoperto dopo) ci dice che non è vero niente.
Analizzando i verbali, gli interrogatori e le sentenze dell’epoca (i libri sono ricchissimi!), dimostra come -in realtà- le morti di Emma De Ventura e di Carolina Finazzer fossero due “semplici” suicidi. Certo, non comuni data la breve distanza l’uno dall’altro e sicuramente insoliti dato che avvennero nello stesso entourage familiare e ambientale…ma le prove non mentono.
E i due coniugi Del Monego? Uccisi per rapina e non perché si voleva impedire loro di rivelare particolari scomodi. Semplice, risolto. Poveri albergatori che si sono fatti l’ergastolo per la cattiveria dei compaesani.

Io sono comunque perplessa.
Certo, come ho detto, le prove non mentono. Toni Sirena analizza tutto in modo maniacale e non dà alcuna possibilità al dubbio. Voci di paese: ecco a cosa si sarebbe rifatto Saviane per scrivere il suo romanzo al quale, poi, i Carabinieri stessi si sarebbero ispirati per iniziare l’inchiesta.

Io però ho un dubbio. Anzi, più di uno.
Senza stare lì a guardare le prove (validissime eh, ma per un attimo provo a non pensarci), arrivo a queste conclusioni, seguendo la mia logica personale:

1) Il delitto a scopo di rapina dei Del Monego è più che plausibile e totalmente scollegato dal resto. Anche la vecchia che spia dalla finestra (Corona Valt) che poi denuncia e ritratta. Ci sta.

2) Anche il suicidio di Carolina Finazzer è plausibile: si getta nel lago. Ma perché, allora, prima si dice che è sonnambula (e quindi si sarebbe buttata nel sonno, senza accorgersene) e poi ci si affretta a dimostrare che Carolina era triste perché sposata per “convenienza” e spinta dalla madre (sposata proprio con uno dei “famosi” albergatori tra l’altro)? Insomma, era sonnambula o voleva suicidarsi? E poi, se era sonnambula, come mai pensò di indossare il cappotto prima di uscire nel gelo invernale?

3) Quello che non è plausibile, è il suicidio di Emma De Ventura. Ditemi quello che volete, mostratemi le prove, ma io a una ragazza di vent’anni che si uccide tagliandosi la gola con un rasoio da barba e che si recide trachea, carotide e esofago in un colpo, mi dispiace ma proprio non posso credere.

Non mi convince. Per niente. Forse solamente su questo caso, lo zampino degli albergatori c’è.

E mi sa che quest’estate me ne vado ad Alleghe a dare un’occhiata.

Il fascino del libro sta in questo continuo gioco di specchi, in questo labile confine tra realtà e immaginazione. È questo, anche, il fascino che esercita la storia reale dei “delitti” di Alleghe, nella quale fatti normali vengono interpretati come indizi di un giallo, suicidi come omicidi, e il tutto è tenuto insieme da un disordinato coacervo di ipotesi e congetture. Da questo punto di vista la stessa sentenza può definirsi un pezzo di letteratura. È un gioco di ombre cinesi proiettate sulla parete: qual è, alla fine, la realtà vera? Se partiamo dal sospetto che tutto ciò che vediamo è finzione, non ne può che derivare la paranoia, sicché anche la cosa più normale appare dubbia e infida, tutto si trasforma in mistero, ambiguità, reticenza: ed ecco la cappa di terrore, ecco il clan dei mostri, il serial killer, la mafia, l’omertà, la paura, il silenzio, la rete di complicità, le montagne assassine, la Montelepre del Nord.