Tema: il mestiere del libraio

Ci siamo. La mia esperienza di libraia è quasi agli sgoccioli. Venerdì è l’ultimo giorno, poi cena di addio e poi addio per davvero.

Prima di proporvi il mio solito post strappalacrime -quello arriverà tra un paio di settimane, promesso- volevo intrattenervi con alcune riflessioni sulla vita di libreria. In cosa consiste, che cosa si fa, quali sono le caratteristiche del bravo libraio, che cosa si impara e che cosa alla fine si porta a casa. Vogliamo chiamarlo un bilancio? Ma sì dai. 

[Ho già scritto quasi tutto nelle Bookstore Chronicles che la mia amica Camilla ha pubblicato nel suo Zelda was a writer. SUBITO A LEGGERE!]

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Avevo un’immagine molto romantica del lavoro in un negozio pieno di libri. Pensavo di stare lì a bere caffè, leggere e consigliare i clienti.

Prima di tutto, il tempo di leggere proprio non c’è, ve lo giuro! Il resto si fa, certo, ma una buona parte della giornata lavorativa è scandita da compiti che richiedono fatica fisica. Una cassa di libri è pesante, a volte pesa più di te, e su queste braccia nessuno ha mai visto traccia di muscoli (neanche adesso ci sono ma mi è venuto mal di schiena quindi qualcosa è successo, credo).

Il bravo libraio, quindi, non deve farsi spaventare dal lavoro pesante. 

E se non ha forza? Da qualche parte la trova, ve lo assicuro.
Il bravo libraio non ha paura di insetti (vivi e morti) e clienti pazzi, e non si fa problemi a inginocchiarsi, distendersi, rotolare sul pavimento pieno di polvere.

Il bravo libraio accetta di non conoscere delle cose e impara a chiederle.

Io, all’inizio, pensavo di sapere tutto. 

Che cosa mai ci vorrà per lavorare in una libreria? Basta leggere tanto e conoscere i libri, no?

No. Oltre a dover imparare il lavoro di negozio vero e proprio (usare la cassa, l’affare demoniaco delle carte di credito, le fatture), bisogna essere precisi e veloci nei conti a mente (AHIA), saper fare le percentuali per gli sconti (UUUUUUUH) e, a fine giornata, chiudere la cassa e sperare che tutto torni.

Prendete la mia immensa inettitudine per tutto quello che riguarda la matematica e i calcoli e traducetela in inglese.

Fatto? Bene.

Oltre a queste mansioni pratiche che ad alcuni di voi sembreranno banali (ma io, ripeto, non avevo mai lavorato in un negozio prima d’ora), bisogna poi sfoggiare una discreta conoscenza in fatto di libri e scrittori.

Ovvio, no? E che ci vuole?

Ne sapete di letteratura neozelandese, aviazione, nautica, mappe e volumi storici sul battaglione maori e sulle guerre napoleoniche, voi?
No, perché io ho avuto qualche difficoltà.

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Ho imparato tante cose. La prima? Ammettere di non sapere, ve l’ho detto. Chi mi conosce di persona, forse capirà perché questo per me è stato piuttosto impegnativo. Ho capito che il lavoro di libreria è composto da tanti fattori e non è solo bere il caffè e leggere dietro al bancone. Nossignori.

Ho provato e ho capito qual è la mia parte preferita del lavoro: i libri. 

Ma và?

No, non è così scontato. 

L’ultima caratteristica che contraddistingue il bravo libraio, nonché quello che più mi sta a cuore, è la capacità di saper valutare i libri, molto spesso con il fiato del cliente sul collo, cliente che -naturalmente- pensa di possedere un piccolo tesoro. (perché tutti credono che a un libro basti essere vecchio per essere prezioso?!)

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Io sono stata fortunata: ho avuto un maestro, Mark (il capo), che mi ha insegnato tutto.

Ha avuto pazienza, mi ha spiegato per filo e per segno che cosa si deve guardare, che cosa dà valore a un libro, come si chiamano le rilegature e tutte le parti che compongono un volume, mi ha spiegato come interpretare i difetti e come conteggiarli nella valutazione finale. Mi ha riempito di manuali e istruzioni, mi ha interrogato prendendo libri a caso dagli scaffali e chiedendomi su due piedi a quanto li avrei comprati e poi venduti. (come faceva mio papà per farmi imparare le capitali. Ha funzionato, eh!)

Non sono diventata un’esperta, figuriamoci. Per quello, ci vogliono anni e io sono solo una novellina.

Però ho capito che è questa la mia parte preferita del lavoro, ho capito che voglio continuare e ho capito che voglio diventare bravissima.

Quando sono partita per la Nuova Zelanda, avevo espresso un desiderio: imparare a fare un lavoro vero –uno che sporca le mani e ti fa arrivare a casa stanca- possibilmente in una libreria.

Mi sono impegnata: ho realizzato il mio sogno e ho sfruttato ogni istante dell’esperienza per non sprecare neanche un grammo dell’immensa fortuna che mi era capitata.

Questo post, inizialmente, doveva contenere una lista di suggerimenti per valutare i libri che avete a casa, quelli che avete trovato in soffitta e che secondo voi valgono qualcosa.

Ci ho provato ma mi sono resa conto che non riuscivo a “insegnarvelo” così, a distanza, senza la polvere nel naso e il profumo paradisiaco della carta vecchia, tra gli scatoloni che puzzano di pipì di gatto (è successo, sì), gli scarafaggi spappolati tra le pagine (è successo anche questo) e le dediche tristi di cento anni fa.

Il “mestiere” si insegna sul campo

E io, signore e signori, quel mestiere penso  proprio di averlo imparato.

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