L’intervista a Fernanda Pivano del Gruppo 96

Nel 2003 ero un po’ rincoglionitella.
Avevo vent’anni, fumavo, avevo appena cominciato l’università, leggevo molto (e mai abbastanza) ma senza anima. Leggevo per il puro piacere di leggere, leggevo tutto quello che mi capitava sotto tiro e, quel che è peggio, non approfondivo. Leggevo quello che trovavo a casa o in biblioteca, finivo, mettevo da parte e prendevo subito un altro titolo.
In questo modo, ahimè, ho letto “Il giovane Holden”, “Sulla strada”, “Il Piacere” e tanti altri.
Capolavori che solo adesso riesco ad apprezzare nel pieno del loro significato.
Spesso, poi, durante le sessioni di esami, mettevo da parte i libri e studiavo e basta.
A pensarci adesso, vorrei tornare indietro nel tempo a prendermi a pedate sui denti.
Ve l’avevo detto che ero rincoglionitella.

Nel periodo a cavallo tra la fine del liceo e l’inizio dell’università, ho avuto una fugace passione per la Beat Generation. Niente di che, ho letto a caso i titoli più famosi, ho trascritto sulla Smemoranda che anche per me le uniche persone che esistono sono i pazzi ed è finita lì.
Per questo, purtroppo, quando ho assistito alla proiezione dell’intervista che sto per proporvi, non ero poi così interessata.
Fernanda Pivano sapevo a malapena chi fosse. Non avevo neanche letto l'”Antologia di Spoon River”, pensate un po’.

Piccolo passo indietro: nei lontani anni ’90, quando il mio paesello offriva un panorama culturale più che apprezzabile, un gruppo di ragazzi appassionati di Ernest Hemingway decise di proporre ogni anno un festival musical-culturale sulle rive del fiume Piave.
Nacquero così il Gruppo 96 e “Fiesta!”.
All’epoca ero giovane e rincoglionitella (ve l’ho detto) e a Fiesta! ci andavo perlopiù per ballare e sbevazzare: malgrado la spensieratezza molesta e superficiale di quel periodo, io -come tutti i miei concittadini spero credo- ero molto orgogliosa e consapevole della storia del grande fiume Piave e di tutti gli aneddoti relativi alla Grande Guerra e al ferimento di Hemingway a Fossalta di Piave.
Nonostante tutto, quando sullo schermo venne proiettata la Nanda che parlava della sua amicizia con Ernest…io ascoltai quasi di sfuggita.
“Sì, interessante, ma quando si balla?”
Ma non viene voglia anche a voi di prendermi a schiaffi?

Arriviamo ai giorni nostri: nel 2013 mi sono perdutamente innamorata della letteratura americana e della Beat Generation. Ma proprio da stare male.
Volevo leggere e sapere tutto, volevo tatuarmi citazioni su braccia e spalle (no, non l’ho ancora fatto), partecipavo a qualsiasi cosa avesse a che fare con l’oggetto della mia venerazione. Sono addirittura andata a un raduno di vecchi beatnik alla biblioteca centrale di Auckland in Nuova Zelanda.

L’ossessione per le cose che mi interessano. Non c’è un’infarinatura. O è tutto o è niente.
In questa foga, a un certo punto -naturalmente- sono arrivata a Fernanda Pivano. Ho letto tutto quello che potevo leggere…eppure, c’era qualcosa che mi sfuggiva.
E poi, la folgorazione: mi sono vista lì, con i pantaloni a zampa, le Gazelle e i capelli da Alanis Morissette (che porto ancora nello stesso identico modo), bicchiere di prosecco in mano ad ascoltare distrattamente le parole dell’intervista.
Quell’intervista. Ecco che cosa mi sfuggiva.
Naturalmente, non ricordavo nulla.

Che fare, quindi?
Dovevo assolutamente vederla. Voi non capite. L’intervista del Gruppo 96 a Fernanda Pivano era essenziale per capire e per avere la visione completa sull’argomento.
A quel punto, inizia la mia fase preferita: rompere le balle a destra e a manca.
Contatto Daniele Marcassa (uno degli intervistatori): niente, la videocassetta non si trova. I quattro intervistatori sanno di averne una copia ciascuno ma…dove sarà finita? Resisto alla tentazione di offrirmi volontaria per rivoltare da cima a fondo le loro abitazioni e aspetto.
Poi, a un certo punto, perdo quasi le speranze.

Pazienza. Non la vedrai. Ti sta bene. Potevi stare attenta quella volta, procurartene una copia, fare qualcosa.

E poi, quest’estate *coro angelico di sottofondo e luce che arriva dall’alto* la cassetta viene ritrovata!
Leo (Fontana. Componente storico del Gruppo 96 nonché fidanzato di mia sorella Martina) mi porge l’agognato video.
E io lo guardo e lo riguardo. E lo riguardo un’altra volta. E ancora.

E invidio Daniele, Leo, Francesco (autore di “Cartongesso”, BTW) e Federico perché hanno conosciuto la Nanda e perché a diciott’anni, a differenza mia, avevano dei veri interessi culturali e facevano di tutto per diffonderli.
E invidio la Nanda perché ha avuto una vita da paura e ha gli occhi pieni di avventure e ricordi.
Mi emoziono quando urla “Freedom!” e quando racconta la sua notte di parole con Hemingway.

E poi quasi mi alzo in piedi e mi metto la mano sul cuore quando, alla fine, guarda dritto dentro la telecamera -ci guarda!- e ci incita a sognare.

Buona visione a tutti.
Spero che questo video vi faccia rimanere in silenzio a pensare, come è riuscito a fare con me.

(inizia dopo 20 secondi di schermo nero…scusate ma proprio non sono riuscita a eliminarli)