Cimiteri e ricerca genealogica

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Trascrizione completa dell'episodio

Perché deve essere sempre così difficile andare via? si chiedeva. In quei giorni, le era passato per la testa che in fondo poteva anche restare, decidere di passare lì gli ultimi anni della sua vita. Ma sapeva che c’è sempre qualcuno cui pensare; qualcuno, o qualcosa, che ci tiene legati a un mondo. E lei sentiva di non appartenere più a nessuna terra, nemmeno a quella dov’era nata.

“La casa sull’argine”, Daniela Raimondi

Questa è una puntata speciale di Camposanto. Ormai sapete che mi piace sperimentare e oggi ho pensato di proporvi un viaggio un po’ particolare..
Questo episodio conterrà dei cimiteri ovviamente – che cosa ci stiamo a fare qui altrimenti – ma il loro ruolo sarà solo funzionale all’argomento principale della puntata. Nel senso che di solito il cimitero è la meta, ma oggi sarà solo una tappa intermedia.
Non ci state capendo niente, vero? A volte io stessa mi chiedo perché mi perdo in chiacchiere quando potrei arrivare direttamente al punto senza tanti giri di parole.
Comunque, come sempre, vi chiedo di fidarvi di me.
Se siete qui è perché, come me, amate vagare tra lapidi e tombe e penso proprio che questo episodio non vi deluderà.
Se decidete di rimanere con me, vi consiglio di prendere carta e penna e di preparare il vostro kit del perfetto camposanter.

Tutto inizia dalla domanda che mi viene rivolta più spesso quando dico che sono appassionata di cimiteri e che conduco un podcast che ne parla.
Nove persone su dieci mi chiedono: “ma come ti è nata questa passione?”
La mia risposta è più o meno sempre la stessa: onestamente non me lo ricordo bene, penso di averla sempre avuta. Credo che si sia rivelata quando, da piccola, accompagnavo le mie nonne in cimitero e le aspettavo mentre sistemavano le tombe dei miei nonni. Loro cambiavano l’acqua ai fiori e intanto mi raccontavano storie e aneddoti. Io guardavo le lapidi, osservavo le foto, leggevo date ed epitaffi. Insomma, quello che faccio anche adesso.
Certe storie mi rimanevano impresse e ancora oggi ricordo perfettamente dettagli e particolari della foto della signora Palmira, austera e arcigna con la sua cuffia nera. E poi la tomba di un bambino investito da una macchina, sulla quale venivano puntualmente appoggiati – e purtroppo rubati – giocattoli vari. E poi ancora i miseri tumuli di terra senza lapide e senza nome dove io appoggiavo sempre qualche margheritina che raccoglievo mentre facevo a piedi la strada per il cimitero. E tanto altro.
Tutto questo, per dire che la mia passione, appunto, non è nata nel senso proprio del termine. Forse era già lì e aspettava solo di essere stimolata.
Se questo sia avvenuto proprio in quel periodo non so dirlo, ma quello che so di certo è che con il tempo l’amore per i cimiteri è cresciuto e si è incrociato e alimentato con altri interessi.
Quando sono diventata grande e ho capito che la strada che mi sarebbe piaciuto percorrere era quella di fare ricerche, scrivere storie e raccontarle, mi sono detta che nei cimiteri avrei trovato infinite fonti di ispirazione. E così, infatti, è stato.
Quella che trovate in Camposanto è solo una selezione, ma le mie Moleskine sono piene di appunti, date e nomi di storie di morti che vorrei un giorno raccontare. Tutto molto disordinato eh, ma come si suol dire… io mi ci capisco. Più o meno.

Al serbatoio inesauribile che mi veniva offerto dai cimiteri, tuttavia, si è aggiunta un’altra fonte di ispirazione ed è arrivata attraverso una passione che mi ha colpito come un fulmine in età adulta.
Mi ricordo benissimo quando è successo – ve l’ho detto della mia memoria straordinaria no?


Era alla fine del 2005. Io avevo appena conseguito la Laurea Triennale in Scienze Politiche e, in attesa di potermi iscrivere ai corsi della specialistica che iniziavano un paio di mesi dopo, avevo deciso di prendermi una sorta di mini-pausa senza esami, tesine, fotocopie e colloqui coi prof.
Ahh – mi ero detta – che bello. In questi due mesi finalmente mi posso dedicare a… a?
Non avevo un piano. Dovevo trovare qualcosa di bello e appassionante da fare.
Non so neanche come mi sia venuto in mente ma un giorno, di punto in bianco, ho deciso che volevo costruire l’albero genealogico della mia famiglia. Del resto, chi non trascorre le vacanze rinchiuso in vecchi archivi a scartabellare atti di nascita ingialliti?
Mi sembrava davvero un programma elettrizzante. E come era prevedibile, questa attività si è presto trasformata in una sorta di ossessione che ha rotto gli argini di quei due mesi sabbatici che mi ero prefissata.
La mia ricerca genealogica, per la quale ho rotto l’anima a tutti gli impiegati dei Comuni del Triveneto e per la quale ho stalkerato parenti brasiliani che non avevano nessuna intenzione di farsi intervistare da me in portoghese maccheronico, è iniziata nel 2005 e… non è ancora finita.
Nel corso degli anni, nel mio albero genealogico sono cresciuti rami familiari inaspettati, sono spuntati cugini oltreoceano che sono arrivati fino a Berlino per conoscermi. La mia ricerca ha conosciuto fasi di frustrante stallo seguite da brusche accelerazioni. È stata disordinata, amatoriale, divertente e davvero molto istruttiva.
Pensate che a un certo punto, viste tutte le cose che avevo imparato attraverso l’esperienza, ho deciso anche di scrivere una piccola guida che ha avuto un successo incredibile e che viene ancora condivisa a distanza di tutti questi anni.

Ma quindi? Che c’entrano i cimiteri?
Portate pazienza, ci sono quasi. La puntata di oggi sarà diversa, ve l’ho detto.
Oggi inizieremo proprio da questa ricerca. Vi racconterò come ho cominciato e i trucchi che ho imparato strada facendo ma soprattutto vi spiegherò il ruolo determinante giocato dai cimiteri nel mio percorso. Passeggiare tra tombe e lapidi è un lavoro indispensabile per chi fa ricerca genealogica e oggi vi racconterò perché.
Premetto, però, che se deciderete di intraprendere questo viaggio… beh, è molto probabile che non ne verrete mai fuori. Se siete come me, non riuscirete mai più a fermarvi e ogni occasione sarà buona per andare alla ricerca dei vostri avi morti secoli fa.

Ci siamo? Benissimo.
Questo vademecum per il genealogista alle prime armi inizia dai vivi, non dai morti e questa prima parte vi sarà indispensabile per costruire delle belle radici solide al vostro albero.

Se siete molto fortunati come me, il vostro cognome è poco diffuso. Di conseguenza, quando troverete antenati che si chiamano come voi, potrete individuare con un discreto margine di sicurezza il loro posto nell’albero genealogico.
Se il vostro cognome, invece, è molto diffuso in diverse parti d’Italia o del mondo, allora le cose si complicano parecchio. Non perdete mai la speranza, però.
È vero, quando io trovo un Depentor sono sempre sicura che si tratti di un avo, però è anche vero che ne trovo pochissimi e che spesso le mie ricerche si infilano in clamorosi vicoli ciechi.
In entrambi i casi, comunque, iniziate a costruire l’albero a partire da voi e dalla vostra famiglia: fratelli, genitori, nonni, bisnonni. È molto probabile che fino a qui siate in grado di compilare il tutto senza bisogno di aiuto. Se così non fosse, è questo il momento in cui dovrete scandagliare il parentado alla ricerca del soggetto onniscente. C’è sempre qualcuno che sa tutto, che si ricorda tutto, che conosce perfino i nomi dei gatti della prozia che si era trasferita in Belgio nel 1924.
Il parente onniscente, per qualche oscuro motivo, è sempre un po’ reticente e quando lo interrogherete si schermirà. “Ma no, non mi ricordo, che ne so, è passato tanto tempo”
Non credeteci, è un trucco! Mia mamma, ad esempio, dice di non sapere niente e poi quando andiamo insieme in cimitero, mi racconta aneddoti su persone morte 70 anni prima che lei neanche ha conosciuto.
Smascherate quindi la vostra fonte inesauribile di informazioni e ricordatevi che il parente onniscente sa tutto e diventerà il vostro migliore alleato per le ricerche. Perseverate e non lasciatevi ingannare: inizialmente se la tira ma poi si appassionerà assieme a voi e vi fornirà materiale preziosissimo per le ricerche.

Se tutto va bene, grazie al suo aiuto, dovreste riuscire a salire un po’ sul tronco dell’albero.
Grazie alla mia parente onniscente – la Zia Anna – io sono riuscita a ricostruire le origini della mia famiglia fino ai genitori e ai fratelli dei miei bisnonni e sono venuta a conoscenza di tantissime storie che normalmente non si trovano nelle fonti ufficiali.
Scrivete sempre tutto, anche le cose che vi sembrano irrilevanti e quello che il parente onniscente butta lì con noncuranza. Io, ad esempio, grazie ai racconti della Zia Anna ho scoperto che il mio bisnonno aveva due sorelle gemelle nate morte e mai registrate in anagrafe, delle quali infatti non ho mai trovato traccia negli atti di nascita e morte.
Il parente onniscente, inoltre, ha sempre nascosta in casa una scatola o una valigia piena di vecchie fotografie in bianco e nero. Queste foto, oltre a essere sempre stupende e affascinanti, vi torneranno molto utili… indovinate dove? In cimitero.

Arrivati a questo punto, il foglio di carta non vi basterà più. Aggiungerete delle appendici, attaccherete dei post-it, incollerete brani fotocopiati dagli archivi parrocchiali e copie scansionate di fotografie e documenti.
Ed è questo il momento in cui capirete di essere entrati nel tunnel della genealogia. Quando vi dicevo che ero ossessionata, non scherzavo. Per anni, sulla parete della cucina di casa mia è rimasto appeso il cartellone con l’albero genealogico. Capitava che qualcuno, osservandolo, avesse l’illuminazione e individuasse parentele che a me erano sfuggite. Sì, se ve lo state chiedendo, in famiglia siamo un po’ tutti così. Poi non chiedetemi da dove nascono queste passioni…

Comunque, torniamo al nostro alberello. Ora le cose iniziano a farsi davvero difficili. Siamo arrivati fino ai bisnonni o trisnonni, magari siamo scesi scrivendo nomi di prozii e terzi cugini. La base è solida ma bisogna salire.
Il problema, qui, è che arriverete a un punto in cui dovrete scrivere i nomi di persone morte molto tempo fa. Parliamo di 100-150 anni. Con molta probabilità, neanche il vostro parente dall’alto della sua assoluta onniscienza potrà aiutarvi. Non potrete in alcun modo affidarvi alla memoria e alle testimonianze orali dei vostri parenti in vita. Certo, i colpi di fortuna capitano: potreste ritrovare diari e lettere e documenti conservati da qualche lungimirante avo… però, insomma, è quasi come vincere alla lotteria.

Scusate, mi soffermo un secondo a riflettere sulla fortuna che avranno i futuri Depentor quando troveranno tutto il materiale che ho raccolto e soprattutto metteranno le mani sul mio celeberrimo diario della pandemia.

Ma torniamo a noi.
Sono tutti morti, dicevamo.
Se sono tutti morti, dobbiamo andare a cercarli lì dove riposano o dove sono ricordati.
Ma prima, ci serve ancora un po’ di aiuto e dovremo andarlo a cercare in quelle figure che detengono il potere assoluto su registri parrocchiali, archivi e anagrafi cittadine.
Sto parlando di preti e impiegati comunali. È proprio loro che dovrete convincere.
Perché dico “convincere”?
Semplicemente perché hanno molto da fare e scartabellare libroni ingialliti di 200 anni fa non è esattamente in cima alla lista delle loro attività prioritarie. In quel periodo in cui la mia ricerca era nella fase acuta – tra la laurea triennale e quella specialistica – pretendevo che le mie richieste venissero esaudite immediatamente e non mi rendevo conto che, a differenza loro, io non avevo niente da fare se non costruire il mio albero genealogico.
Potreste dover mandare molte mail e fare molte telefonate. Potreste anche dover andare molte volte in comune a fare la fila o in sacrestia a importunare il parroco. Tenete bene in mente il vostro obiettivo, ricordatevi che noi camposanter siamo tenaci. Non fatevi impietosire e siate implacabili.
Se ci ripenso ora, credo di aver ottenuto la maggior parte della documentazione grazie alla mia innata capacità di rompere l’anima.
Probabilmente hanno ceduto solo per liberarsi di me. Ma comunque l’importante è il risultato, no?
Quindi, ecco, non voglio dare il cattivo esempio e dirvi che dovete diventare il peggiore incubo del parroco e dell’ufficio anagrafe però… ecco, un pochino sì.

Scherzi a parte, dovrete insistere. Con un po’ di fortuna troverete qualcuno che si prenderà a cuore il vostro caso e vi aiuterà. Vi garantisco che negli uffici anagrafe c’è sempre almeno un appassionato di genealogia.

Quindi cosa dovrete chiedere ai vostri nuovi amici?
Cercate di essere precisi. Non chiedete “potreste farmi una ricerca in tutti i vostri registri basata sul mio cognome” perché vi diranno giustamente di no. Se ce li avete, fornite sempre nomi, date, luoghi e fatevi mandare tutte le informazioni scritte nei registri.
Potrebbero sembrare confusionario all’inizio, e lo sarà, ma quando inizierete a capire il potere di una particolare parola magica, i misteri della genealogia si dipaneranno di fronte ai vostri occhi.
La parola magica è… FU.
FU. La terza persona singolare del passato remoto del verbo essere. FU. Suono melodioso che in un colpo solo farà crescere sul vostro albero tre piani di rami. FU.

La prima volta che ho compreso il potere del FU è stato quando ho letto questa frase:

Depentor Teresa di Candido fu Sante

Cosa significa? Che Teresa è figlia di Candido e che Candido è figlio di Sante. Ma Sante era morto – infatti “fu”, non è più. In ogni caso, di fronte a una dicitura del genere voi avrete sistemato tre generazioni. E dato che il nome del padre viene sempre indicato in tutti gli atti, potrete anche comporre le famiglie e scoprire fratelli e sorelle. È come un puzzle molto complicato con i pezzi tutti scombinati. Ma i pezzi ci sono. Basta avere pazienza e vabè, rompere l’anima alla gente.
Ricordate che i Comuni hanno iniziato a registrare nascite e morti a partire dall’Unità d’Italia avvenuta nel 1861: questo significa che tutto quello che viene prima è nelle mani delle parrocchie che, se vi va bene, hanno riportato con sufficiente precisione date di battesimi, matrimoni e funerali.
Raccogliete tutte le informazioni che impiegati e parroci saranno così gentili da fornirvi. Vi sembrerà di non capirci niente ma credetemi, ce la farete e piano piano legami e parentele diventeranno chiari e troverete un senso a tutto.

Ci sarà un momento in cui questa eccitante fase di raccolta di materiale arriverà a un plateau. Ma non preoccupatevi. Sistemate quello che avete, studiatelo e analizzatelo, e preparatevi perché adesso andiamo in gita.
E dove? Che domande.

Prima di entrare in cimitero, però fate una bella lista di luoghi significativi e ricorrenti nella storia della vostra famiglia. Ad esempio, io ho scoperto che i miei bisnonni sono nati in provincia di Venezia ma che gli avi precedenti erano quasi tutti originari della campagna trevigiana. Allora ho preso nota di tutti i paesi e paesini della zona e ci sono andata.

La mia prima tappa, dopo aver contattato Comune e parroco naturalmente, è stata la piazza del paese. È in piazza che, in genere, si trovano i vari monumenti ai caduti delle guerre mondiali, militari, civili e partigiani, e monumenti alla memoria di personalità di spicco del luogo o relativi ad avvenimenti particolari.
Se vi siete preparati bene e avete raccolto molte informazioni, quello che troverete nelle liste dei caduti sarà solo una conferma di qualcosa che conoscete già ma può anche capitare di trovare dei nominativi a sorpresa. In entrambi i casi, con ogni probabilità troverete la tomba del vostro avo morto in guerra proprio in cimitero, dove stiamo per entrare.
Un’altra ricerca interessante che vi consiglio di svolgere, è quella relativa a cenotafi e lapidi commemorative apposti in luoghi significativi per la vita del defunto.
Tanto per farvi un esempio, a distanza di anni ho scoperto che il cenotafio di una suora morta in un incidente stradale appartiene a una lontana parente del mio bisnonno e ci sarò passata davanti almeno 100 volte senza saperlo!


Quindi non sottovalutate nulla, tenete gli occhi bene aperti, leggete le targhe sulle facciate dei palazzi e prendete nota in vista della vostra visita al cimitero.
Anche in questo caso, la diffusione del vostro cognome influirà pesantemente sull’esito della vostra esplorazione. Se il cognome è raro – come il mio – macinerete chilometri e perderete la vista senza trovare niente per giorni e giorni. Se invece il cognome è molto diffuso, è probabile che verrete travolti dalla mole di tombe a disposizione e finirete per non capirci più niente. In medio stat virtus, diciamo.


Ma come si imposta la ricerca genealogica in cimitero?
Ci sono due modi.
Il primo è quello di chi – come me all’epoca – non ha niente da fare se non cercare tombe. Se avete molto tempo a disposizione, entrate nel cimitero, stabilite un percorso ordinato e sistematico e controllate le tombe una per una. Avete capito bene. Dovete leggerle tutte, annotare date e soprattutto – se è permesso – scattare fotografie.
Completare l’albero con i visi delle persone è il non plus ultra del genealogista, ma le foto vi torneranno molto utili anche per una conferma. Ricordate la valigia dei tesori del parente onniscente? Ecco, è giunto il momento di confrontare le foto delle lapidi con le foto di famiglia per capire se le vostre ipotesi sono giuste e se quelle persone sono proprio quelle che pensate.
Il secondo modo per esplorare i cimiteri alla ricerca dei vostri avi è un metodo intelligente e organizzato. Grazie alle informazioni che avrete trovato negli archivi comunali e parrocchiali, infatti, saprete già prima della visita se in quel determinato cimitero c’è qualcuno di interessante e potrete prepararvi telefonando al comune per chiedere la collocazione precisa delle tombe. Ultimamente, tra l’altro, molti comuni hanno creato dei database pubblici contenenti tutti i nominativi delle persone sepolte e relativa posizione della tomba. Altri hanno creato addirittura delle app. Ci sono moltissimi siti internet – i cui link vi indicherò in descrizione di puntata – dove potrete trovare foto di tombe e liste di nomi, date e certificati comunali e parrocchiali. Ci sono poi anche dei cimiteri che hanno i registri scritti a mano e altri cimiteri in cui i custodi sono molto gentili e non vedono l’ora di aiutarvi, come mi è capitato recentemente nel cimitero di Musile di Piave.
Insomma, le risorse ci sono. E a mia discolpa e cercando di giustificare le mie prime ricerche disordinate, devo dire che nel 2005 non c’era nulla di tutto ciò e gran parte del mio lavoro è stato puramente analogico.

Comunque, a prescindere dalla vostra metodologia, non mi stancherò mai di dirlo, leggete tutto con attenzione e non tralasciate nulla.
Gli epitaffi danno informazioni preziosissime su vita e morte di defunti e rispettive famiglie. Anche le foto devono essere osservate scrupolosamente. Se, ad esempio, notate una discrepanza tra l’età anagrafica e quella apparente della foto, questo potrebbe significare che quella persona ha avuto una vita particolarmente dura che l’ha fatta invecchiare precocemente. Dalla struttura e dalla complessità della tomba, potrete capire qualcosa sul livello di agiatezza del defunto.
Le tombe di famiglia raccontano ancora più particolari perché vi danno la panoramica di un gruppo e non di una singola persona. Potrete ad esempio notare un’incidenza alta di morti infantili. A me è capitato di trovare delle tombe in cui venivano riportati nomi di bambini di appena qualche giorno, morti a distanza di poco più di un anno l’uno dall’altro.
Se trovate molti morti – magari giovani – concentrati in anni in cui si sa che si è scatenata un’epidemia – come quella dell’influenza spagnola – oppure ci sono stati dei bombardamenti.
Proprio ieri – sto scrivendo questo episodio l’11 di novembre – sono andata a fare una passeggiata nel cimitero di San Donà e ho scoperto l’esistenza di una cugina di mia nonna morta durante il bombardamento dell’ospedale avvenuto nel 1945.
Ed è stato un puro caso perché stavo semplicemente passeggiando senza cercare nulla in particolare. La stessa cosa mi è capitata l’estate scorsa, mentre stavo esplorando due cimiteri di campagna della provincia di Treviso. Come una bella sorpresa, mi sono capitate di fronte le lapidi di Rosa e Giovanni. Le ho fotografate, sono corsa a casa, ho aperto sul pavimento il grande foglio dove ho disegnato l’albero e li ho trovati! Inutile dire che poter aggiungere un sorriso e uno sguardo a nomi che avevo scritto anni prima contornati da frecce e annotazioni, mi ha riempito di gioia e soddisfazione.
Ed è stato lì che mi sono resa conto che la mia ossessione non era affatto finita, anzi.
Probabilmente, anche se sono passati più di 15 anni da quando ho scritto il primo nome – il mio – su quel foglio, sono appena all’inizio.

Oggi vi ho voluto parlare di ricerca genealogica perché io racconto le storie dei morti e credo che dare voci ad avi e antenati sia semplicemente un altro modo per farlo.
Leggere documenti ingialliti e decifrare calligrafie arzigogolate di fine ‘800 mi hanno trasportato nella vita della mia famiglia di 150 anni fa.
Ho trovato e catalogato atti di nascita e di morte, certificati di matrimoni, e registrazioni di emigrazioni, trasferimenti, movimenti. Questo mi ha portato in viaggio perché nelle liste dei passeggeri delle navi degli italiani che emigravano in Nord e Sudamerica, ho trovato tanti Depentor che in diversi momenti storici sono partiti in cerca di fortuna.
Ho scoperto che mestiere facevano, se erano stati in guerra e se erano ritornati.
Ho imparato a capire le diciture “battesimo di emergenza” e “renitente alla leva” e ho capito anche perché alcuni di loro si firmavano con una croce.
Ho scoperto condanne, denunce, compravendite, primi matrimoni, secondi matrimoni e processi per bigamia.
Non mi si è aperto un mondo solo, se ne sono aperti almeno 50.
A un certo punto mi sembrava di guardare un film del quale ero io a scrivere la sceneggiatura man mano che la storia procedeva indietro nel tempo.

Basandomi sui pochi dati a mia disposizione, a un certo punto ho addirittura scritto la storia di Marianna che nel 1887 appena 24enne è partita da sola per il Brasile sulla nave Bretagne. Ho scoperto che i nomi Regina, Felicita, Candido e Sante erano ricorrenti tra i Depentor della seconda metà del 1800. Ho individuato parenti sparpagliati in tutto il mondo e tutti, incredibilmente, hanno trovato un posto nel mio immenso albero.
Immaginavo i visi dei miei antenati, vagamente somiglianti al mio e a quello dei miei parenti. Me li vedevo proprio mentre partivano di notte e attraversavano le campagne per andare in anagrafe a registrare la nascita dei figli.
E come sono stata felice quando mi sono resa conto che stavo dando loro una voce, che stavo raccontando la loro storia e che li stavo conoscendo.
E perché no, stavo conoscendo anche un po’ me stessa. Sono convinta che dentro di me ci sia un po’ dell’incoscienza di Marianna sulla nave per Rio De janeiro. E credo di avere almeno un po’ dello spirito di ribellione e della tenacia del mio bisnonno Camillo che dopo la guerra è andato a Roma in bicicletta, per protestare sul suo licenziamento avvenuto perché non aveva voluto prendere la tessera del Partito Fascista.
Chi troverà traccia di me in futuro cosa dirà? Forse analizzando i miei spostamenti e rendendosi conto che anche io, come i nostri avi, ho viaggiato tanto e vissuto in cinque diversi paesi dirà con un sorriso che nel nostro sangue scorre la voglia di avventura.

Io ci spero. E spero anche, un giorno, di essere scelta come la parente onniscente di qualcuno.

 

Foto: Giulia Depentor
Grafiche: Elena Lombardi